NOTA DELL’AUTORE
Alle 20:50 del 21 Agosto 2003, dopo trentatrè anni dal conseguimento del diploma di geometra all’”Augusto Righi” di Reggio Calabria, me ne sto sul lungomare di Scilla. Ho lasciato mio fratello Gino a Cannitello perché preferisce pescare. In realtà, non vuole partecipare ad un avvenimento che sa essere solo mio, nel quale, però, io credo poco. A Bruno, un compagno di scuola, non l’ho confessato per non rovinargli la festa. È diventato matto per organizzarla, questa serata. Un bombardamento di telefonate, SMS ed e-mail ha colpito tutti, senza distinzioni. Bisogna rivedersi, questa volta con le mogli al seguito! L’appuntamento tradizionale, riservato solo a noi, è e rimane fissato per il 21 dicembre di ogni anno ma agli incontri, soprattutto dopo il ventennale, non siamo mai al completo. Non tutti abitiamo a Reggio. La vita frenetica, un certo rilassamento dovuto all’età, qualche acciacco e l’incuria dei ricordi non sono giustificazioni valide per Bruno che, sciolto nel desiderio insopprimibile di rivedere la truppa, ha rivoltato il mondo intero per far riesplodere in ciascuno la voglia dell’incredibile. Per completare l’opera, ha addirittura invitato tre persone speciali: Giuseppe Quattrone, Totò Santoro e Aldo Corigliano. Io e Nino, un altro compagno che come me vive a Roma, lo abbiamo aiutato dedicando un po’ del nostro tempo a coordinare e perfezionare l’evento.
Portando con me gli stessi dubbi che mi hanno fatto desistere dal trascinare anche mia moglie, sono partito affidando alla compagnia di Gino e alla riscoperta dei miei luoghi il compito di dare un senso alla trasferta. Se la serata va storta, pensavo, almeno ho risentito l’odore del mare.
Sono le ventuno... Laggiù, dai parcheggi, da dove ha inizio il largo marciapiede che divide la sabbia dall’asfalto, vedo gente che s’avvicina. Nel contrasto delle luci non riesco a distinguere i volti. Il primo è Nino e poi via via tutti gli altri. Un’inflazione di strette di mano a signore che non ho mai visto e abbracci lunghi un’era per salutare chi non sto riconoscendo. Siamo proprio tutti e sentiamo che anche Mimmo Chiofalo e Dino Gentilomo sono in mezzo a noi. L’ingegnere Corigliano mi vuole ancora bene, mi stringe sforzandosi di controllarsi. Il dottor Santoro è più deflagrante e martella le mie guance con le sue grandi mani. Il professore Quattrone si ricorda di me, dice che ero bravo ma che mi devo dimagrire. Gli occhi sfidano un po’ di lacrime, vive come le facce che tornano ai vent’anni.
Al ristorante, la cena è solo un optional. I migliori pezzi della V B cadono sul lungo tavolo che diventa il luogo di una mappa che tutti devono vedere. Uno di noi tira fuori un elenco e lo consegna a Quattrone. La voce subisce l’ingiuria del tempo ma fa l’appello. Ed io che non ci credevo... Cineprese passano sulla mia testa per cogliere i discorsi di tutti e puntare le labbra dei nostri insegnanti. Foto su foto, singole e a gruppi e poi quella finale. Cosa porterò a Roma? D’accordo, Nino mi farà i duplicati ma non è la stessa cosa.
Ho solo un sistema per giustificarmi, scrivere un libro per raccontare una storia importante che meriti d’essere divulgata. Non la solita nostalgia becera ma il ritorno risolutivo di un’eco mai persa. Di ricordi ne ho tanti, colorati e grigi, come ciascuno di noi. Gli anni della giovinezza, quando bastava giocare in un campo sperduto di periferia per sentirsi già calciatore o quando era sufficiente attendere all’ingresso del “Righi” l’arrivo dei compagni di classe per sentirsi protetti da tutto e da tutti rimangono in prima linea. Invocano in maniera perentoria una resurrezione che fa stare il cuore in una specie di alcova e pervadono l’animo di quei buoni sentimenti diventati merce rara nel tempo in cui si vuole globalizzare anche l’aria che respiriamo.
Col trascorrere degli anni, tra i passaggi intensi da un’età all’altra e poi all’altra ancora, avviene che i migliori ricordi custoditi a vita e che pensavi di tirar fuori solo da vecchio reclamino una rivisitazione. Chiamala nostalgia o come vuoi tu. In me produce la costante di un tempo che non scorre e di una sola età nell’esistenza. Un trucco per sentirmi! Né piccolo né grande. È questo il sistema che ho scelto per registrare il mio passaggio: fare una media virtuale tra il fanciullo che sono stato, la gioventù che ho colto, la maturità che vivo e la vecchiaia che lascio in attesa. Nulla deve prevalere.
Così scrivo in queste pagine e così vorrei rivolgermi ai ragazzi in groppa al nuovo millennio; senza rompere, come dicono loro, ma col solo scopo di fargli amare la loro età tanto quanto le altre che verranno e che l’aspettano al varco, con i respiri diversi che vanno rispettati.
Aurelio Zucchi