Non avrò mai più così freddo, come di fronte al tuo corpo inerme sul marmo bianco, né amerò così
tanto la vita.
Forse è proprio questo il significato della morte, questo innamorarsi del tempo che
resta anche di fronte ad una perdita così grande.
Questo amore è stata la tua lezione più grande perché tu volevi che amassimo la vita perché è tutto ciò che abbiamo.
Adesso tu non hai più giorni ,non hai mesi non avrai anni.
Adesso non hai occhi da incontrare di sfuggita per strade dove non cammini più in ogni città conosciuta o soltanto sognata.
Non è tanto il freddo a gelarmi quanto questa sensazione d’aria ferma,come se ogni persona qui presente,respirasse in un modo
diverso,più lento.
Ho l’impressione che i miei sensi si acuiscono ,sento tutto padre:sento i pensieri degli altri,le promesse i ricordi,sento che tutti
stiamo vivendo non soltanto la morte di un nostro congiunto
Ma anche un po’la nostra morte.
Sento la morte per la voglia disperata di vita che mi stringe la gola adesso in un rimorso doloroso per il mio egoismo.
Ma è la vita che continua in tutti i riti così inutili ai morti ed indispensabili ai
vivi.
Noi siamo quelli che devono scegliere la bara, i fiori,ed un rito qualunque ma che non offenda la sensibilità di nessuno,allora
cercheremo una chiesa disposta ad accoglierci dopo anni ed anni di indifferenza reciproca.
Non so quello che veramente ti sarebbe piaciuto, noi non abbiamo mai parlato di morte:ci incuriosiva la vita.
C’incuriosiva il passato e la storia di quelli che non avevamo conosciuto,parenti o amici dei parenti di cui sentivamo parlare nei
dopo pranzo domenicali con tante famiglie che si riunivano sempre gli stessi in fondo,ma era una consuetudine che ci rassicurava,era bello da bambino credere che non sarebbe cambiato niente,che tutti saremmo stati sempre lì,ognuno seduto al suo posto,bambini ed adulti seduti alla stessa tavola.
C’incuriosiva la nostra città che tu conoscevi così bene e mi mostravi nelle nostre passeggiate,ogni
Quartiere ogni angolo che per te aveva un valore col passare del tempo, mentre io crescevo, per, me non ha avuto segreti.
Ricordo di come hai sorriso e forse capito quello che sentivo la volta in cui ti dissi che della nostra città avevo una impressione
che io stesso definivo strana:mi è sempre apparsa come una città spaventata,come se per paura non avesse mai sviluppato tutto il suo potenziale.
Eravamo curiosi di noi padre ed io tutto volevo sapere di te del tuo lavoro ,della vita
che facevi fuori dalla nostra casa,delle persone che incontravi e che difficilmente avrei conosciuto.
Tu già tutto sapevi di me perché avevi previsto i miei dubbi, la crescita veloce, le cattive compagnie,
avevi previsto la mia ribellione.
Adesso ho pena di me per il tempo che ti ho sottratto, ma c’era gente diversa da incontrare,altri mestieri da fare e città straniere
dove passeggiare e pomeriggi interi a non far niente ,in silenzio come per sentire il tempo che passa e fingere di esserne fuori.
C’è però in me uomo ogni traccia del tuo essere stato figlio alunno e cittadino e uomo e padre.
Io non so com’è morire padre, forse sarà come addormentarsi oppure come saltare un fosso.
Forse sarà come guardare in uno specchio e non riconoscersi, come chiudere un libro non ancora finito.
Forse sarà come guardare il cielo e vederne finalmente la fine e scoprire cosa c’è dietro l’orizzonte trovarlo interessante, sarà come
conoscere il vero senso d’ogni cosa vissuta o soltanto sognata.
Forse morire per te è stato diventare pianto d’ogni uomo nelle mie lagrime.
Stasera sono rimasto qui a mettere ordine in quello che hai lasciato ma intorno a me sembra che ogni cosa si trasformi nel tuo tempo
che si è fermato.
Mi sorprendo a chiedermi se hai paura solo dove sei adesso al buio di quella stanza
orrenda e senza pietà, gelata.
Tu adesso non puoi sentire niente perché hai già visto e sentito tutto.
Resto qui a frugare involontariamente tra le tue cose e noto che c’è troppo ordine nel tuo disordine.
Metto via le camicie le scarpe e ritrovo le tue parole il rumore della tua risata e
penso a com’è strano questo mese che ti ha visto lentamente morire, né caldo né freddo che non è più Inverno ma non è ancora Primavera.
C’è gente intorno a me, dalle altre stanze sento le voci e immagino i discorsi, ma io non ho voglia di ascoltare le parole di
circostanza di nessuno,certo ognuno ha un tuo ricordo ,l’eco di una parola buona detta da te,l’immagine di un tuo gesto gentile,io lo so ne faccio tesoro,ma non voglio sentire.
Io ho tutto di te padre perché porto in giro il tuo nome e una faccia che ti somiglierà ogni giorno di più.
Metto a posto le tue cose: i libri, i fogli le fotografie,sento nell’aria il tuo profumo,è ovunque nell’aria ,intorno a me aleggia
come il dolore costante per la tua assenza.
Vedo nelle sottilissime rughe di mia madre il passato e il presente, il suo dolore così diverso dal mio, per quello che abbiamo perso tutti, perché io credo che quando muore un uomo buono, ogni altro uomo subisce una perdita anche se sconosciuta, poiché viene a mancare
un pezzetto della parte buona del mondo.
Adesso siamo qui a guardarci, a darci forza l’un l’altro,cercando di imparare in qualche modo,il coraggio che ci vuole per
attraversare il dolore ed andare avanti.
Continueremo a vivere ogni freddo aspettando il caldo,ogni piccolo dolore come in attesa di uno più grande,a credere in qualcosa senza arrenderci mai.
Sono passato nei tuoi occhi ed ho visto ciò che tu volevi che io vedessi,sono cresciuto di colpo attraversando il tuo sgomento di
fronte alla malattia,alimentando forse ingenuamente la tua speranza.
Sono passato come un treno nella tua disgrazia per continuare a vivere perché sono il fiore nato dal tuo seme in un giardino di
gramigna e amore.
Sono il passaggio concreto della tua vita alla vita del mondo, sono la moneta che paghi alla sorte come se ci fosse stato uno scambio
tra la tua morte presunta e la mia vita vera.
Maria Attanasio ottobre 2003